Mathausen


Il viaggio della memoria “Da Fossoli a Mauthausen” si è svolto dal 24 al 28 febbraio  2019 e ha coinvolto scuole di tutta la regione. Ha portato un gruppo di centinaia di studenti in Austria e Germania, con soste nelle città di Monaco, Linz e Innsbruck, e visite ai campi di Dachau, Mauthausen, Gusen, Hartheim ed Ebensee.

E’ stato uno schiaffo in faccia.

E’ un conto vedere le stesse foto ogni anno durante il giorno della memoria, è tutta un’altra storia se si è sul posto. Sul posto, con una brava guida e abbastanza empatia ,si può quasi vedere quello che è successo, almeno nei campi che sono rimasti integri, ed è quello che fa la differenza; vedendo una foto non ti si mozza il respiro in gola, non ti accelera il cuore, non respiri più piano per il peso di quello che ora sai.

Sono emozioni difficili da descrivere, e diverse per ognuno. Posso parlare per me, e rendere quest’articolo personale, ma non è detto che quello che ho provato sia in alcun modo universale.

Inizia tutto con Dachau. E’ un campo quasi completo, mancano solo le baracche, delle quali sono state ricostruite solo due, le altre vengono ricordate con dei cordoli di cemento, per il resto la struttura della mensa, il bunker e la camera a gas sono integri.

La camera a gas a Dachau non è mai stata usata, era più comodo usare quella di Hartheim, i forni crematori invece sì; il tutto è in una struttura esterna al campo, adibita a luogo di morte.

Si entra nel campo dal cancello che recita “Arbeit Macht Frei” all’altezza degli occhi, e ci si ritrova nella piazza dell’appello, uno spiazzo vuoto. A destra c’è la mensa, a sinistra le baracche.

In fondo al campo, a sinistra c’è l’uscita che porta alla camera a gas. Si entra, c’è lo spogliatoio, la camera con le porte blindate e i portelli per lo Zyklon-B (non era ancora pompato come gas, ma versato come granulato all’interno della stanza e lasciato reagire), poi un obitorio, i forni, e un secondo obitorio

Si esce con le lacrime agli occhi.

Il giorno dopo c’è Mauthausen, che è probabilmente il campo più integro, e pesante.

Mauthausen è una vecchia fortezza riutilizzata come campo di lavoro. Sotto di essa c’è una cava di granito, dove i prigionieri lavoravano quotidianamente: il granito proveniente da questa cava fu utilizzato per monumentalizzare alcune città “care” al nazionalsocialismo, come Monaco e Linz.

La cava, vista dall’alto, sembra di dimensioni normali, se non piccola.

Entrarci mette tutto in prospettiva – in realtà la cava è enorme. Per scenderci, i prigionieri utilizzavano una ripida scala scavata nella roccia e ora chiusa al pubblico, soprannominata “scala della morte”: chi cadeva, non si rialzava.

A Mauthausen il percorso guidato inizia davanti al campo stesso, di fronte allo spiazzo dove c’erano l’ala medica e un campo da calcio, dove si giocavano tornei regionali.

Nell’ala medica mandavano i prigionieri non più abili al lavoro, e proprio lì accanto, le domeniche, una squadra di guardie affrontava in un’amichevole partita squadre di calcio provenienti dalla città di Mauthausen o da altre città vicine. Un luogo sereno per una partita…

All’interno del campo si passa per le docce (rigorosamente gelate), uno dei primi luoghi dove venivano fatti passare i prigionieri. E’ un ambiente piccolo e opprimente, col soffitto basso e poche luci, sotto una baracca.

Il piazzale dell’appello è al centro del campo e lo taglia quasi a metà, ci sono baracche lungo ciascun lato: sotto una di queste il percorso che porta attraverso una stanza memoriale, e alla camera a gas, visibile solo dall’esterno. Non ricordo i forni, non di preciso, ma erano uguali a quelli di Dachau, in una stanzina chissà dove.

Non ricordo nemmeno dove fossero le ciminiere.

Non è rimasto nulla di Gusen. Dopo la guerra venne occupato dagli abitanti rimasti senza tetto di città vicine distrutte dai bombardamenti, e ora è una cittadina con un memoriale che ricorda i campi di Gusen e Gusen II, satelliti di Mauthausen.

Hartheim è un castello del ‘700, del rinascimento tedesco. E’ circondato da un parco, ed è veramente stupendo, almeno d’aspetto. Hartheim era usato come centro di sterminio, lì venivano mandati pazienti provenienti da manicomi da tutto il Reich, e venivano uccisi.

Dopo la guerra, la macchina della morte è stata smantellata, e rimane un vecchio castello e tanti, tanti ricordi.

A Hartheim, il tempo era stupendo. C’era un cielo blu perfetto, il prato e il parco fuori dal castello erano stupendi, fiorenti e ben curati. Il castello era stupendo, di un bel bianco ben mantenuto, col tetto scuro.

Lì dentro sono morte migliaia di persone.

Sopra di loro, vivevano una vita tranquilla e serena le persone che lavoravano al castello e le loro famiglie.

Ebensee ha portato all’estremo questa sensazione, che in inglese si chiama “tonal whiplash”.

Nel bel mezzo di un idilliaco paesaggio alpino, c’è la galleria B di Ebensee, il cui campo sottostante è stato raso al suolo e venduto come terreno edificabile. Rimane la galleria B, l’unica delle tre trovate che non è stata bombardata, che è accessibile al pubblico. Un posto per la cui creazione sono morte più di troppe persone, umido, buio, freddo, ostile e opprimente.

Ne esci, e trovi davanti a te un panorama splendido, lo stereotipo del paesaggio di montagna: verde, innevato, col cielo pulito, azzurro.

La galleria B è enorme.

A Ebensee si voleva scavare una rete di gallerie nella montagna, in modo da nascondere la produzione di missili e proteggerla dai bombardamenti.

Il posto ti fa sentire minuscolo, schiacciato sotto il peso della montagna, e al contempo, solo, nel vuoto.

Al buio.

Il viaggio ti cambia, ti fa crescere, che tu lo voglia ammettere o no.

Sono tornata diversa, ho pensato, ho imparato tanto, e faccio fatica a ricordare tutto senza che mi venga un groppo in gola, che mi si fermi il respiro di nuovo, che torni sul posto.

Il viaggio è stato uno schiaffo in faccia.

Mi ha svegliata.



                                                                                                                      Chiara Lanci

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