Scuole chiuse,ma non troppo

 Scuole chiuse, ma non troppo 

Quest'anno settembre ha raccolto nelle sue miti giornate non solo i bagliori, ancora lampeggianti e vividi, di un'estate ormai vicina alla fine, ma anche un invito indeclinabile: tornare tra i banchi, incontrare di nuovo amici, compagni, insegnanti, restituire alla socialità la presenza e la prossimità che esige per tessersi. Il tempo che ha immediatamente preceduto l'inizio della scuola, vibrava di un'attesa desiderante, si accendeva di curiosità e meraviglia per una ripresa delle attività  didattiche che solo l'anno scorso sarebbe stata normale e scontata e che in quel momento , invece, appariva nella sua eccezionalità . La campanella avrebbe emesso di nuovo i suoi squilli, scandito le ore, convocando vite e destini attorno ad una contiguità  che per mesi era mancata, radunando bambini, giovani, adulti nello spazio, solo  apparentemente limitato, di un'aula, luogo in cui ogni desiderio lambisce il suo adempimento, ogni aspirazione confina con l'occasione che la coglie, ogni passione o vocazione è riparata e custodita all'ombra delle parole di una lezione, di un dialogo, di un confronto. Sembrava che, dalla loro riapertura, le scuole non sarebbero mai state chiuse davvero. Ci si cullava nella speranza che non accadesse di nuovo dopo la fatica e gli sforzi compiuti. Tuttavia, una seconda e violenta ondata di contagi, con la sua invadenza, ha impedito lo svolgimento per le scuole superiori delle attività in presenza. La DAD o, com’è stata generosamente nominata, DDI ha sostituito quel modo di “fare scuola" che si fonda, al contrario, su una ragione dei corpi. Una contraddizione abita questi acronimi,  nella brevità dei quali si vorrebbe compendiare e ridurre il ventaglio su cui si dispiegano le molteplici funzioni dell’istituzione scolastica: la didattica non può mai essere a distanza perché non la ammette come sua premessa, perché senza la relazione, l'interazione diretta, il contatto è solo istruzione vuota, trasmissione di un sapere isolato nella sua infertilità. Immagini di aule deserte e di insegnanti che dialogano con proiezioni su un computer ritraggono  una solitudine complice dello sconforto, descrivono l'assillo di un silenzio che non è quello dell'ascolto, ma dell’assenza. Mostrano in che modo la distanza si presenti come misura della quotidianità,  criterio dell’azione. 

La scuola è chiusa ma non troppo perché siamo noi, studenti,insegnanti,presidi, collaboratori scolastici, a renderla possibile. La scuola siamo noi. 

Sabrina Bocedi



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