La semplicità del campione

Nel mondo non serve necessariamente avere talento o buone qualità, si tratta di dimostrare con volontà e coraggio di riuscire ad inseguire i propri sogni.

Con questi due elementi, più un pizzico di fortuna, si può raggiungere ogni traguardo.

Con questi due elementi, più un pizzico di fortuna, Paolo Rossi è diventato una leggenda. In pochi credevano in lui, molti lo consideravano troppo esile per imporsi nel grande calcio, e guardando i dati delle prime stagioni da professionista non si poteva dar loro torto: nei primi tre anni è costretto a tre operazioni alle gambe ed è costantemente vicino a mollare tutto.

Qualcosa però scatta in lui quando va a giocare per il Vicenza. In due stagioni porta la squadra veneta dalla Serie B al secondo posto in Serie A dopo un acceso testa a testa con la Juventus. Dopodichè Rossi viene convocato per i Mondiali del 1978 in Argentina. Gli Azzurri arrivano quarti e con tre goal segnati lui viene inserito nella Top 11 Mondiale. Successivamente, il Vicenza riesce a tenerlo dopo il calciomercato estivo, ma l'investimento diventa troppo pesante; la squadra retrocede e Paolo va in prestito al Perugia. Qui inizia un momento buio della sua carriera, che in realtà avrebbe dovuto essere quello della sua consacrazione. Viene accusato di giocare con poca determinazione e di non essere affezionato alla maglia e alla città, ma il vero problema si presenta nel Marzo 1980, quando si diffonde lo scandalo calcioscommesse, in cui sono implicati  due suoi compagni di squadra. Lui, essendo il più famoso, entra inevitabilmente tra gli imputati e viene costretto a stare fuori dal campo per ben due anni. E' sconvolto e non riesce del tutto a realizzare cosa gli sia successo. Ci riesce solo quando, tornato a casa, trova i suoi genitori in lacrime.

Dopo quei due anni gli dà fiducia Boniperti, il presidente della Juventus, squadra con cui era partito, che lo preleva dal Vicenza. Riesce in breve tempo a ritrovare la condizione e gioca le ultime partite di campionato, ottenendo la convocazione al Mondiale del 1982.

Molti guardavano quella squadra con scetticismo, ma Paolo Rossi mette tutti a tacere. Dopo una qualificazione agli ottavi arrivata per “il rotto della cuffia”, l'Italia batte l'Argentina di Maradona e si presenta ai quarti contro la squadra favorita del torneo: il Brasile. In quella partita inizia la favola di Paolo Rossi: segna un gol e poi non si ferma più.


"Il primo goal al Brasile, lo ricordo come il più bello della mia vita. Non ho avuto il tempo di pensare a nulla: ho sentito come un senso di liberazione. È incredibile come un episodio possa cambiarti radicalmente: niente più blocchi mentali e fisici. Dopo quel goal, tutto è arrivato con naturalezza".





Dopo quello ne segnò altri due e si ripeté contro la Polonia in semifinale e contro la Germania Ovest in finale, aggiudicandosi a fine anno il titolo di capocannoniere del torneo e il Pallone d'Oro.






Da qui nasce il mito di Pablito, un personaggio semplice, che con la forza di volontà e il coraggio di rialzarsi dopo un brutto momento è riuscito a dimostrare a tutti il suo valore. Anche ai tifosi del Brasile, che non lo hanno mai perdonato:


"Una volta un tassista brasiliano dopo aver fatto con la sua auto un centinaio di metri mi riconobbe dallo specchietto retrovisore, frenò di colpo e urlando come un pazzo mi ordinò di scendere: 'Lei è il carrasco do Brasil (tradotto in italiano significa il boia del Brasile)' che mi ha fatto soffrire da matti e ha gettato nel dolore, in quella notte spagnola, un’intera nazione.Fuori da qui!'.Scesi dal taxi quasi tremando, ne chiamai un altro e mi feci portare in albergo. Questo episodio accadde a San Paolo, dove mi avevano invitato a giocare un torneo fra ex calciatori, e il bello è che risale al luglio del 1989, ovvero a distanza di ben sette anni dal mondiale di Spagna. Ma per i brasiliani quella sconfitta con l’Italia è ancora una ferita aperta…".



Riccardo Pupino

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