Parola sorvolata da stelle

 

Parola sorvolata da stelle: il Dantedì e la Commedia

Ci sono poeti alla fonte della cui lingua è piacevole, in ogni momento, sostare: essa è all’altezza delle grandi questioni del nostro tempo e dalla sua lontananza, con freschezza ed energia, ancora ci interpella. E’ tale natura sempre interrogativa e mai isolata nella teoresi o nel dogma, a rendere un testo un Classico: un libro che ad ogni lettura si scopre abitato da voci, risonanze ed echi prima non udibili e la cui vita irriducibile è, costantemente, sorgente di nuovi pensieri.
In questo senso, davvero, la letteratura è sempre in dialogo con tutte le arti. Con tutte le epoche. E con ognuno di noi.
Dante appartiene a questa cerchia di poeti il cui canto sa nominare l’umana condizione e mostrarla nell’enigma che la costituisce. E’ per tutti l’autore della “Commedia”, della “Vita Nova” e di quei versi d’amore il cui suono è lambito dalla dolcezza, la provenzale doulḉour, della forma.
Egli consegna una leggibilità all’oltre che al di là della morte si dilata e lo dispiega nella “Commedia”: un cammino del pensiero nell’interiorità che segue i modi dell’avventura e dell’indugio, dell’inabissamento e della sosta e a cui si annoda tempo del giudizio e della compassione, della critica e dell’umanità. Il viaggio all’interno di sé è qui declinato nella sua forma frammentaria: numerose sono le stazioni disseminate lungo il suo svolgersi.
Ma si può anche scorgere nella tessitura della “Commedia” il movimento di uno sguardo che disloca la propria soglia su un paesaggio che, dischiudendosi, gli offra una vista sempre diversa.
E’ possibile inoltre avvertire in questa odissea della coscienza, ora il tremito del dubbio, il sussulto dell’incertezza, ora la letizia della beatitudine e la quiete della salvezza. Ora, nel pianto o nel dialogo, il tepore della compassione o il gelo di quel doloroso ”mai più”, di quella esistenza precedente che si è consegnata alla sparizione, isolata nella chiusura irrimediabile del passato. E’ anche nell’orizzonte di questa irreversibilità, di questo tempo già stato, che Dante osserva il tragico di ogni anima, di ogni uomo. Ma lo illumina - questo tragico- con il lampo di una presenza inattingibile e incorporea, inconoscibile e intransitabile. Con l’eternità che il suo dire promette.
Un’ ultima considerazione. “Das sternuberflogene Wort”, parola sorvolata da stelle: così Paul Celan propone la lingua che sostiene e anima la Commedia.  Ogni cantica che la compone si conclude con il sostantivo “stelle” che dice del duplice rapporto che lega la poesia alla cosmologia e al desiderio. Affidare al bagliore stellare, alla sua siderale lontananza e apparente immobilità, la figurazione del desiderio significa sottrarlo alla provvisorietà del tempo, al fuggitivo che vi trascorre sopra. E poi, ancora, riverberare questa luce sullo sguardo o sugli occhi di una donna amata equivale rimuovere, illusoriamente, la sua esistenza dalla transitorietà.
E’ nella sua riflessione sull’uomo posto in relazione con la temporalità, con la sua interiorità e con i movimenti che la turbano, nella sua poetica fenomenologia dei sentimenti, del dolore, della pietà e della morte, che si misura la contemporaneità di Dante. Perché la poesia, per dirla come Leopardi, non è mai contemporanea al suo tempo.

                                                                                                                                                      Sabrina Bocedi

    
 


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