La voce di Francesca, il silenzio di Paolo: compassione e nostalgia nel canto V

 

La voce di Francesca, il silenzio di Paolo: compassione e nostalgia nel canto V

 

Il canto V si apre con la violenza di una bufera che sferza le anime, affatica il loro respiro. Nel suo tumulto si intravvedono due figure che trascorrono l’eternità avviluppate insieme: sono Paolo e Francesca, sorpresi nella leggerezza del volo che li unisce e li sospinge avanti nel vortice infernale.

Il loro giungere dove il vento della bufera si acquieta dischiude il dialogo con Dante. La narrazione d’amore è affidata al dire e descrivere e affabulare di Francesca. La sua lingua confina con il silenzio di Paolo. La sua voce con il suo pianto. Solo il silenzio delle lacrime, non il rumore del linguaggio, può nominare e conservare intatto il dolore per un tempo consegnato al “mai più”, per una vita precedente che mai torna. Mentre sul suono di ogni parola si posa l’ombra della nostalgia e sulla profondità della sua assenza la parvenza del ricordo:

 

      E quella a me: “Nessun maggior dolore

      che ricordarsi del tempo felice

      nella miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore”

 

Nostalgia è dolore per un ritorno che si mostra nella sua impossibilità. Che è sempre in scacco con il desiderio che lo anima. C’è un passaggio che appartiene ad un’opera di Kant che rappresenta e declina la nostalgia nella relazione che la lega all’irreversibilità del tempo, al suo assiduo ritrarsi e precipitare, qui e ora, nell’irrimediabile lontananza del passato: “Non un luogo si cerca nel desiderio del ritorno ma un tempo, il tempo della giovinezza”.  La sofferenza, dunque, di Paolo e Francesca non proviene dal paesaggio infernale che per sempre li ospiterà, ma dalla coscienza di non poter rivivere “il tempo felice” – coincidente, in questi versi, con il momento dell’amore, della lettura e del bacio che vi sorge sopra – , se non nel gelo e nell’insufficienza del ricordo. Perché è poi proprio il ricordo, con la dolcezza delle immagini che porta con sé, a recare il maggior dolore: gli istanti piacevoli che evoca sono per sempre perduti. Ora sole restano le pene infernali.

Nel racconto della condizione infelice dei due amanti, nel tragico che lo sostiene, sopravviene in Dante il sentimento della compassione. Compassione è avvertire il dolore dell’altro come prossimo, appartenente. Come proprio. E’ sentire la condizione altrui come nostra.


                Mentre che l’uno spirto questo disse,
                l’altro piangea; sì che di pietade
                io  venni men così ch’io morisse     

 

Questa compassione per lo stato infelice di tutti gli uomini è sospinta fino alla soglia in cui persino la lingua poetica, ma anche i sensi incontrano l’impossibile. Le ultime parole di Francesca si inabissano mute nel silenzio di Dante perchè indicibile e insopportabile è il dolore della ferita che lei ha nominato.

                          
                   E caddi come corpo morto cade


     
                                            Sabrina Bocedi

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