Platone sulla scienza
PLATONE
sulla SCIENZA
“L' anima, infatti, costituisce il
fondamento immobile delle cose in divenire”.( Teeteto 184b sgg.)
INTRODUZIONE ( Dicembre 2021)
Nel “Teeteto”, dialogo di Platone sulla scienza, il filosofo non ci fornisce l’oggettività della verità, cercando di delinearne la forma, ma indaga come “accade” la verità in noi
Seguendo il testo, ben presto troviamo questa considerazione di Socrate: “La filosofia non ha altra origine che questa:…la meraviglia” (155d). Socrate sottolinea come la “meraviglia” del filosofo induce a muovere oltre l’immediata e passiva registrazione dell' esperienza relativa ai fenomeni particolari. Il “Teeteto” ci restituisce, perciò, il volto autentico della filosofia come ricerca della verità. Come le “partorienti”, Teeteto, infatti, subisce il travaglio della mente che precede la nascita di un pensiero vero, genuino, (148e-151d). In particolare, Platone si interroga su quale sia la via da seguire per divenire capaci di verità, per definire le cose e la mente possa cogliere gli enti nella loro assoluta identità (incontraddittorietà dell’essere, come dice Parmenide: “l'essere è e il non essere è niente”). Infatti, afferma Socrate:”a me non è lecito …accettare la menzogna e offuscare la verità”(151d)
Amici delle quarte che avete
studiato le regole del sillogismo e vi siete “abbeverati” alla filosofia, siete
d'accordo nel considerare il
principio di non contraddizione decisivo fondamento della verità?
SVILUPPO (Gennaio 2022)
L’impossibilità di affermare e negare insieme il medesimo dello stesso e nello stesso tempo, viene assunta come regola imprescindibile per poter asserire qualcosa che abbia senso intorno al mondo e, al di fuori di questa regola nessun stato di cose può essere identificato e dunque affermato.
La non contraddizione è, quindi, il criterio che contrassegna la retta argomentazione e, dunque, nei dialoghi platonici, la posizione dell’avversario si può ritenere davvero confutata quando si è in grado di mostrarne la contraddittorietà o la si riduce alla contraddizione e, perciò, all’insostenibilità.
L’esordio della discussione intavolata da Socrate e da Teeteto, con la preziosa collaborazione di Teodoro, porta dritto alla seguente questione: “scienza e sapienza sono la stessa cosa”. Se è vero, infatti, “che i sapienti sono tali…per la loro sapienza”, altrettanto vero è che “essi hanno scienza di ciò riguardo a cui sono anche sapienti”. Eppure, dice Socrate, “è proprio questo il punto che mi lascia perplesso e che non riesco a cogliere con chiarezza tra me e me: che cosa mai sia questa scienza, (episteme)”(145d-e). Il “Teeteto”, per questo suo intreccciare sapienza e scienza, costituisce e risulta una vera e propria introduzione alla filosofia.
La domanda sulla conoscenza si sviluppa
a partire dalla strutturale mobilità
delle cose,
(ragazzi di terza, ricordate il divenire eracliteo, “panta rei” a
cui si contrappone l'essere eleatico?)
che è testimoniata dalla nostra esperienza del reale, la quale ci persuade inizialmente che “tutte le cose si muovono e scorrono”(182a). Nel corso di una serrata indagine, vengono proposte da Teeteto, Teodoro e Socrate tre diverse risposte riguardo alla domanda: “che cos’è scienza?. Le definizioni di scienza che vengono di seguito esaminate, come percezione, opinione e spiegazione, mettono in risalto quei nodi speculativi che costituiscono passaggi decisivi del “Teeteto”, e che riguardano il divenire, l’errore, l’intersoggettività.
Il dialogo mette in luce come, la percezione, correttamente intesa, contenga, per essere veramente espressione di conoscenza, l’opinione, che la sancisce e, infine, la spiegazione che la giustifica; occorre sempre, però, considerare implicite connessioni che ritroviamo nel testo per cogliere che il luogo della vera conoscenza è l’anima.
PERCORSO
SPECIFICO ( Febbraio 2022)
Il primo tentativo di risposta di Teeteto alla domanda di Socrate “Che cos’è scienza?, si risolve in una riproposizione della tesi di Protagora “di tutte le cose misura è l’uomo” (152a).
Il pensiero di Protagora, poi, viene messo in relazione a quanto affermato da Eraclito: infatti, procedendo oltre l'affernmazione che ciò che appare è, occorre riconoscere che l’apparire esprime il “panta-rei”, la mutevole consistenza dell’essere. Perciò, Socrate, radicalizzando la questione, ammette che, stando a quanto ha detto Teeteto, l’essere può essere colto come il tutto in “movimento”, come già affermava Eraclito.(152b). Il tutto viene, dunque, compreso inizialmente nella sua fondamentale variabilità, recepita dell’umana percezione, nelle sue differenti manifestazioni, di un mondo mai eguale.
Teeteto, infatti,
in un primo momento afferma che il metro
del vero è l’apparire, perciò, non
c’è modo di dubitare della verità di ciò che appare in quanto appare (152a): a partire dalla mia percezione
io posso, infatti, solo convincermi che, di fatto essa, in quanto “è in
relazione a me…per me…è vera”(160c).
Però, se “niente mai è, ma tutto diviene”(152d), nulla mai è fermo, nemmeno l’essere del divenire, perciò, così intesa, la definizione di Teeteto riguardo al movimento “distrugge” se stessa non essendo in grado di affermare che qualcosa, come il divenire, ci sia.
A questo punto, se Teeteto vuol sostenere la tesi del “divenire di tutte le cose”, deve contemporaneamente affermare che esse “sotto ogni aspetto, sia secondo alterazione, sia secondo trasferimento, si muovono (182e) (altrimenti “le cose appariranno…muoversi e stare ferme nello stesso tempo”(181e). Però, espresse tali considerazioni, a rigore, né la percezione, né il percepito rimangono i medesimi: di conseguenza risulta impossibile “determinare una qualsiasi …percezione”. Non ci rimane così tra le mani che.... il puro nulla.
Cari “wiligelmini”, ricordate che per
Platone “ il tempo è l'immagine mobile del'eterno”?
Il divenire tuttavia, appare; e quella stabilità che gli appartiene, in quanto appunto, per apparire, deve, in qualche modo, essere, induce Socrate con l’aiuto di Teeteto, a fare un passo avanti. Si tratta di riconoscere nella percezione, lo stabile movimento dell’anima (184b sgg.): l’”anima”, infatti, costituisce il fondamento immobile delle cose in divenire.
Il confronto con gli studenti del Wiligelmo non può mancare e, perciò, chiediamo loro:
“il
divenire è reale o è solo un'apparenza? Come si inserisce in tale contesto la
relazione potenza-atto proposta da Aristotele? Il principio di causa può
fornirci qualche lume?
Non ci resta ora che augurare Buona risposta a tutti e... a risentirci
classi 3^B e 3^G