Il paradossale dolore della mosca - Matilde Avallone
È felice nella casa, ma è sola. Non ci sono altre mosche come lei; è unica e la cosa la distrugge.
Prova e riprova e riprova. Nulla, il muro rimane.
D’un tratto, una speranza! Una piccola fessura nella finestra. Subito, la mosca ci si fionda ed esce dalla sua dolce casa per poter raggiungere la cruda realtà.
Si aggrega alla massa che la invita a gustare quel piatto “prelibato” insieme a loro, ma la Mosca è titubante. Prova, ma lei è abituata allo zucchero. Vede gli altri comportarsi come se quel escremento di cane fosse un banchetto degli Asburgo, ma lei non capisce. Non riesce a capire. Non può capire.
Pensava che uscire dalla casa l’avesse resa meno sola, più felice, più viva, ma oh, quanto si sbagliava! Le altre mosche erano felici tra di loro, non avevano bisogno di una reietta come la nostra, di una così tanto diversa e strana. In che senso non apprezzava gli escrementi di cane? Perchè si puliva così tanto le zampe? Come mai non interagiva? Che folle! Che sfigata!
La Mosca si guardò indietro. Forse era meglio così, non era fatta per quel mondo. Sospirò e volò nuovamente verso la finestra, verso la sua fessura, verso il suo zucchero.
Tuttavia, i suoi occhi non smettevano di cadere sempre su quel gruppo di mosche che si nutrivano dell’escremento di cane. Di nuovo soffriva, di nuovo la solitudine la schiacciava come una ciabatta.
Così, tentò nuovamente di oltrepassare quel muro invisibile, ma l’esito era sempre lo stesso. Il dolore la spingeva a tentare ed il dolore la riportava a casa, costretta a vivere in questo eterno paradosso di solitudine e di pianto.