Assemblea di istituto: la crisi umanitaria in Afghanistan

 

Assemblea di istituto: la crisi umanitaria in Afghanistan

L’assemblea di istituto di oggi ha affrontato la questione afghana, tema  che attiene alla situazione sociale, politica e sanitaria in Afghanistan, alla condizione delle donne, alle pratiche culturali lì osservate. Il filmato che ha avviato l’assemblea, ha documentato il viaggio di una giovane donna di origine afghana, trasferitasi in Canada, verso Kandahar, dove la sorella che ha minacciato di suicidarsi, abita.

Il suo itinerario, mentre si dispiega, incontra la fatica del cammino, misura il ritmo dei passi con i silenzi del deserto e con il vuoto dei suoi paesaggi, con il tragico della sua legge ch’è la legge della sopravvivenza e, al contempo, sperimenta l’assillo dell’attesa, di quel tempo in cui la speranza per la prossimità dell’approdo e la pena di non averlo ancora raggiunto si congiungono. Ma – questo viaggio – conosce anche la gioia della condivisione, il conforto del soccorso, dell’aiuto: un bambino che accompagna il tragitto della ragazza tra le sabbie roventi, un medico che la cura, un uomo che le offre un passaggio verso la sua meta sono le figure di questa reciprocità, di questa solidarietà nel nulla, di un’umanità che fiorisce laddove abita la sua negazione. La guerra, la sua irrazionalità, il dramma che nessuna ragione può giustificare.

È attorno a questo tema che, a seguito del film, si sono radunate le testimonianze offerte da Ilaria Montixi, membro di Emergency, Luca Radaelli, infermiere con esperienza pluriennale in Afghanistan (dal 2008 al 2016) e Lorenzo Flego, giovane ventottenne impegnato nel servizio civile.

I loro racconti hanno indicato nella maschera della bugia il fondamento della guerra, nella destituzione del sapere degli uomini di una comune appartenenza, di uno stesso destino, la sua necessaria scena. Nella cancellazione,  invece, del sentimento dell’altro, della sua presenza il suo inesorabile presupposto. Ed infine nella rimozione dell’attenzione rivolta al prossimo, nella privazione del suo nome, nella sottrazione della sua storia, il teatro di una dislocazione al centro del sé, delle sue sole ragioni.

E, ancora, il loro discorso ha descritto come il soccorso che fornivano ai feriti si sia, talvolta, confrontato con il suo limite con l’impossibilità di salvare la vita dalla sua fine. Dalla morte che la assediava.

Tuttavia non sull’impalpabilità della sabbia, sulla sfuggevolezza dei suoi granelli, sulla polvere lasciata dalle armi, si istituisce l’aiuto offerto al bisognoso.  Ma sull’amore , sul riconoscimento del dolore o della sofferenza dell’altro, come propri, come parte di uno stesso sentire. Di un sentire che accoglie nel suo cerchio il diverso da sé e non gli nega la sua compassione. La sua comprensione.

Un assemblea che ha convocato tutti ad una comune riflessione, ma che è stata anche un richiamo alla nostra dimenticanza, alla nostra distrazione. Alla nostra noncuranza. 

 

 



 

         Sabrina Bocedi

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