Kafka non è mai stato umano - Riccardo Mantovani

La luce dello schermo mi ama. Mi estrania. Nel misticismo di una notte assolutista, imperatrice tirannica di questo mondo allo scatafascio. 

Nel mio buco sopraelevato mi sento uno scarafaggio. Immondo, futile, ripugnate, orrido. Fuggente da tutto e tutti, seppur, legato all’immondizia e ai flutti, di quella natura umana che tanto disprezzi. 

Nascosto sotto le coperte, rintanato che solo la punta delle antenne possa scorgersi, parlo all’emblema del mio fallimento, di quanto m’abbia mutato. 

Succede, nella vita, di andare a letto uomini, e risvegliarsi insetti. E sono le opinioni ed i fatti vissuti da qualcuno, a renderci tali; perché per terzi, magari, siamo angeli, o anche, unicamente, persone. 


Perciò, qui, nelle tenebre del mio antro di rifiuti, chiedo, ad un Dio in cui non credo: “Sarà che, seppur pianga e soffra come un umano, sia blatta ? E quindi, forse, non infesto la vita di chi amo, ‘pur che chieda scusa con lacrima ?”


Non risponde, e men che meno ascolta, perché gli scarafaggi, non hanno Dio. E sopra tutto, gli scarafaggi, l’unico libero arbitrio che posseggono, è quello di scegliere la strada da correre per non essere schiacciati. Ma anche se buoni, periamo sempre, nei nostri angoli ombrosi. 


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