Se questo è un uomo
Venerdì 12 novembre alle ore 11, si è tenuto un incontro riguardante l'opera teatrale tratta dal libro di Primo Levi “Se questo è un uomo”, con il Direttore di ERT (Emilia Romagna Teatro) nonché regista e interprete dello spettacolo, Valter Malosti, e Fabio Levi, del Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino. Il libro trattato è stato introdotto da Fabio Levi.
“Se questo è un uomo" è stato pubblicato per la prima volta nel 1947, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e all’inizio non catturò l’attenzione di molti in quanto non c’erano attenzione e sensibilità per concepire realmente lo sterminio degli ebrei.
Il libro venne poi pubblicato
dalla casa editrice Einaudi in una seconda edizione nel 1958, e grazie alla
maggior fama di questo editore, che nel ‘47 non aveva considerato Levi,
finalmente questo scritto prese la sua strada e arrivò in tutto il mondo.
Dopo questa introduzione Fabio
Levi si è soffermato sulla memoria dell'autore, strumento principale utilizzato
per la stesura del libro, che, sebbene straordinario, è allo stesso tempo
fallace. Proprio per questo fatto Primo Levi ha agito in modo simile ad uno
storico, sottoponendo la sua memoria ad una critica attentissima, e
confrontando i suoi ricordi con quelli di altri sopravvissuti.
Grazie a questa attenta
operazione, ci è stato possibile conoscere la verità sui fatti accaduti ad
Auschwitz.
Lo scrittore ci parla di due
tipi di verità: quella dei fatti, e quella dell’uomo: “Se questo è un uomo”
racconta infatti non solo di come era organizzato il campo e di ciò che
accadeva al suo interno, ma anche delle reazioni del narratore e degli altri
deportati, del rapporto con sensazioni, sentimenti, pulsioni nell’animo della
moltitudine che al tempo fece parte del campo di concentramento.
Come nella Divina Commedia,
più volte i personaggi descritti da Levi incarnano situazioni, pensieri e
problemi comuni alle donne e agli uomini di Auschwitz.
L'obiettivo finale di Levi è
quello di dialogare con gli interlocutori suscitando emozioni, sentimenti e
giudizi che non si sente di porre direttamente lui stesso, egli vuole dare
informazioni e lasciare che il lettore si interroghi partendo dalle domande che
sottendono il racconto.
Per questo motivo, Levi
presenta la realtà con una calma voluta, con un tono pacato e riflessivo,
risultato di uno sforzo coerente col suo fine ultimo.
Questo sforzo è intuibile in
quanto l’autore talvolta abbandona il tono placido e passa ad uno più
aggressivo, come ad esempio è sottolineato nella poesia iniziale del libro, in
cui Levi quasi si accanisce contro gli stessi lettori.
Leggendo il libro e
riconoscendo lo scopo di Primo Levi, Fabio Levi si è interrogato sul perché
questo libro ci riguarda.
É importante considerare questi
fatti perché parte della nostra realtà, in quanto
capitati ad esseri umani
proprio come noi, ma non solo.
In un’epoca in cui il pensiero
dell’oggi offusca quello rivolto al passato o al futuro, è difficile rendersi
conto di alcune cose, innanzitutto del fatto che questo sterminio è diverso
rispetto a tutti quelli che hanno caratterizzato il corso della storia.
Quello contemporaneo alla
seconda guerra mondiale è uno sterminio organizzato, programmato, frutto di una
concezione malvagia, non dipendente dalla guerra.
La premeditazione presuppone
una necessaria burocrazia: espressione di ciò è stata la creazione di un
sistema ferroviario costruito in funzione dei campi di concentramento e
sterminio, che il professor Levi ha paragonato ad un grande ragno che
intrappola l’Europa; e l’utilizzo delle tecnologie e innovazioni contemporanee
come il gas e le varie strutture caratterizzanti i lager.
Fabio Levi ha poi evidenziato
il fatto che esistessero diversi tipi di lager: quelli finalizzati allo
sfruttamento dei prigionieri e quelli destinati allo sterminio totale.
Oltre all’esempio di Auschwitz,
c’è quello di Treblinka.
All’interno di quest’ultimo, e
a differenza del primo che presentava sezioni di campi di lavoro forzato, non
erano nemmeno presenti le baracche: i deportati arrivavano, venivano spogliati
di tutti i loro averi ed erano direttamente indirizzati alle camere a gas.
Il lager è visto da Primo Levi
come il luogo dove si realizza l’annientamento delle persone, è il punto di
arrivo di un processo che inizia molto prima.
L'obiettivo principale di Levi
non è quello di fare affermazioni moralistiche, ma è qualcosa di più concreto:
egli vuole avvertire di rimanere in allarme, di esercitare capacità di analisi
e di giudizio per analizzare le premesse di una situazione.
“A molti, individui o popoli, può accadere di
ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più
questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si
manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un
sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso
diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena,
sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue
conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le
conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire
intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.”
Dopo il discorso del Professore
ha poi parlato Valter Malosti, regista e interprete dello spettacolo.
Egli ha descritto la sua
esperienza: con l’aiuto di Domenico Scarpa, lo spettacolo è nato da un’attenta
operazione di setaccio applicata all’opera di Levi, integrata anche ad alcune
poesie risalenti agli anni 1946 e 1947. Queste poesie sono 3 madrigali, nello
spettacolo musicate da Carlo Boccadoro, con la funzione principale di porre
delle pause interne alla rappresentazione.
La potenza delle parole di Levi
lette ad alta voce e l'atmosfera cupa, data dalla sensazione di soffocamento
che suscita il libro, hanno spinto Malosti a rappresentare il saggio alla
maniera della tragedia classica, perchè è quella che secondo lui si avvicina
maggiormente al significato dell’opera. La scena è caratterizzata da un grande
gioco di luci, che insieme alla staticità dell’attore interprete, sottolinea la
complessità del linguaggio di Levi.
Un grazie speciale va a Valter
Malosti e a Fabio Levi, e alla loro compagnia teatrale.
Martina Barbieri
e Margherita Guidetti