Ahh la scuola !!! - Riccardo Mantovani
Le entrate in classe dei prof mi hanno sempre dato molto fastidio. La superbia, il fascino e l’arroganza con cui varcano quella soglia di fatica, nel fare, e nel passare, bigliettini dediti solo all’interrelazione sociale, mi fanno sempre alzare gli occhi al cielo; per permettergli, poi, di ricadere su dei simboli di una scuola ormai in decadenza, che valuta il proprio prestigio sulla base di quanti casi clinici e psicologici essa abbia. Non c’è più molto rispetto: né tra studenti e professori - non che ci sia mai stato realmente -, né tra studenti e studenti. Ormai, sono diventati rari ed unici pure i fogli tagliuzzati imbrattati di conversazioni casuali. Li custodisci, con riguardo, in modo che non si rovinino; quasi fossero pagine di un libro perduto millenni prima che spiegava come soddisfare, efficacemente, una donna dal punto di vista sessuale. Non che sia impossibile - in realtà non lo so - però, molta della mia cultura di base si erge su delle leggende urbane, quindi, non me ne vogliate, riporto queste storie pure in testi di critica ironica. Non che sia molto sarcastico in questo momento. Il mio aspetto è tale quello di un androide, spento. Ferroso. Freddo. Mentre batto tasti senza anima su una tastiera sporca e consunta, dalle lettere sbiadite, e dai suoni occlusi. Per questo in realtà, quello che ho scritto, non fa ridere. È una battuta spenta. Programmata. Come fai a ridere ad una roba del genere ? O sei ubriaco - e lo spero per te -, o sei stupido - confido anche in questo -.
Mi ricordo che un tempo la situazione scolastica era anche un luogo di interazione e di insegnamento paritetico tra compagni. Vivevi e comprendevi nozioni sempre nuove, sarcasmo e burle differenti prodotte da intelletti diversi; tutto mosso da una curiosità di fondo, colorata e brillante. Che schifava i libri più lunghi di 30 pagine, gli abbracci in pubblico dei genitori, e le ragazze coetanee. Ecco, questa era una scuola degna di tale nome. Dove l’intervallo era un momento di studio alternativo. E dove i brividi dell’avventura non ti rapivano solo nell’essere il terzo ad andare in bagno prima della folla di fumatori e miratori minorati della pausa piscio.
In questi mesi, invece, le cose sono cambiate, e me ne rendo conto con un’ aria “impassibilmente dilettata”: il fumo delle cabine del cesso dei maschi e delle femmine ha iniziato a formare una ragnatela tumorale che si sta estendendo pure al di fuori dell’edificio scolastico stesso. È sporca, maleodorante, svenevole, distruttiva. Lascia cattivo sapore e assuefazione continua. Difatti, a questo punto della storia, la stanza che un tempo avrei definito “classe”, non è diventata che una misera bisca illegale in cui, ogni giorno, si scommettono i livelli di incazzatura dei docenti - con relativa punizione - nell’osservare che più di metà classe è assente - con una cadenza quasi strategica, neanche fosse fatto volontariamente - nelle ore di interrogazione. È un gioco d’azzardo che come la roulette russa, gira e rigira. Non si ferma mai. Ed ogni mattina, riprende il suo moto di rotazione. Senza lasciare mai spazio alla calma.
La parte più deprimente, ma mordace allo stesso tempo, è che gli adulti ne sono più consapevoli, ma devono aver preso troppo alla lettera il discorso di Falcone, perché ormai “seguire i soldi” - che purtroppo, hanno fatto la fine dei 40 milioni di euro della Lega - è diventato più importante che sventare un' organizzazione abusiva basata sul transito eccessivo di interrogazioni, verifiche e ansia. Dobbiamo prendere atto della presenza di persone che, goliardicamente o meno, affermano di rivolere un ritorno, seppur temporaneo, in DAD.
Siamo onesti: non è normale. Cionondimeno, puntare il dito è oramai una tradizione radicalizzata negli avamposti statici di banchi, cattedra e lavagna. Loro contro di noi, e noi contro di loro. La stupidità ormai regna sovrana PURE nella conoscenza didattica. Vorrei solo trovare un motivo per biasimarmi. Un motivo che mi dimostri QUANTO, in realtà, io abbia torto. Però, nessuno me lo dà. Quindi, me lo trovo da solo. Gioco con me stesso e le mie parole. Uniche amiche di prigionia. Tra quotidiani, poesie, libri e lettere a relazioni lontane, ormai mi sono creato un mio mondo. Grazie prof per avermi aiutato a tornare nel mio immaginario dialettico fatto di figure sconclusionate e di orrida fattura comica. Sembra davvero una guerra politica tra partiti… falliti.
Se volessi dare un titolo di giornale alle settimane che intercorrono, anche se è solo Mercoledì, avrei già quello di questa settimana: “Denaro sparito, si prendono provvedimenti: lezioni di educazione civica”… a ‘sto punto posso anche ammazzare qualcuno, tanto poi mi mandano a ripetizioni di religione in chiesa. Ecco, il dissesto. È squallido. Non ha senso. Mi urta. Siamo passati ad avere fiducia nella civilizzazione, a vederci tutti come pixel stereotipati e categorizzati dal comportamento difettoso di uno di questi. La verità ? Non siamo mai usciti dalla quarantena. E questa ne è la prova. Io non ne sono mai riemerso. Non è che se arriva l’estate e posso uscire come e quando mi pare, per andare a farmi venire una rete di malattie in spiaggia, spacciando per vita la sindrome di autodistruzione giovanile, significa che tutto s’è concluso. Che i problemi visti nella finestra, e nel nostro riflesso, siano spariti. Sono ancora lì, e mi dà fastidio come NESSUNO cerchi anche solo di scorgerli. Mentre, però, essi, prendono piede come muffa, dentro quelle stanze vuote e gelide che sono le nostre sezioni toraciche.
Ho 17 anni, e non possiedo soluzioni per i miei problemi individuali, figuratevi per quelli comunitari. Ciò che dico, infatti, sono due cose: da solo non combino nulla, e di prendere decisioni per altre persone non ne sono in grado; già iniziare a venirsi rispettivamente incontro, POTREBBE ESSERE un ottimo punto di partenza per una buona convivenza.
Non si può passare l’esistenza nel lamenti ,non mi sento di far litanie per il fatto che su 17 compagni, si sia rimasti in 10/11. Non mi sta bene. Preoccupazione personale a parte, è davvero da vigliacchi pretenziosi lasciarsi andare alla metodologia dell’assenza. Non voglio essere affiancato a tal genere di comportamenti, SEPPUR c’abbia pensato a volte. Ma la domanda è: quanto l’intenzione conta di più, rispetto alla messa in opera ? E, soprattutto, QUANDO, l’intenzione è maggiormente importante, della messa in opera ? È una continua lotta morale con noi stessi - due partiti -, e non siamo deboli nel perderla… però, se ogni volta si viene sconfitti, i fattori possono essere solo due: le situazioni esterne incidono in favoreggiamenti nei confronti dell’avversario - quali, paura ed ansia -; ci fa comodo strisciare, sconfitti, incolpando la gravità, perché solo i morti soggiornano sotto terra.
Sono stanco. Devo andare a letto. Ho trovato 5 euro della tasca dei pantaloni… ho un po’ di fame, ma mi sento fortunato… magari al tavolo vinco qualcosa - spoiler: non ho vinto nulla -.