Cosa indossavo quando è finito l’universo - Martina Medici

Camminavano molto e parlavano esageratamente, ma se qualcuno gli avesse domandato il colore degli occhi l’uno dell’altro probabilmente sarebbe calato per la prima volta il silenzio. Non passeggiavano mai per puro piacere, o per lo meno, finora non l'avevano ancora fatto. Avevano sempre delle destinazioni, dei percorsi da seguire, tante parole aggrovigliate da sciogliere e pensieri da spolverare. Un classico giorno autunnale, per puro caso, decisero di sincronizzare la camminata e dirigersi insieme fino all’incrocio che successivamente avrebbe separato i loro percorsi. Giorno dopo giorno continuarono a camminare, camminare e salutarsi sempre con lo sguardo basso al bivio, iniziavano a conoscere le loro parti più nascoste, anche quelle che nemmeno loro stessi sapevano di avere. A volte, stanchi di camminare sempre con la testa china, decidevano di mettersi uno dietro l’altro e in fila continuarono il loro percorso, discutendo di tutti quei problemi che rimbalzavano nelle loro menti. Si erano visti in viso, ovviamente, ogni volta si guardavano, ma evitavano sempre gli occhi; chi dei due avesse più paura non era chiaro, ma di certo non era stato un problema finora, non doveva essere affrontato né risolto. Lei aveva una felpa arancione, odiava l’arancione, ma per qualche strano motivo la avrebbe comunque indossata nuovamente. Aveva anche un cappellino blu, l’aria era gelida. Un giorno come un altro i loro passi ondeggiavano, le loro parole fluttuavano e i loro sguardi conoscevano ormai a memoria i lacci delle scarpe gli uni degli altri, i sampietrini delle strade e quante sigarette schivavano a ogni tragitto. Arrivarono all’incrocio, nessuno dei due fiatò, ed entrambi bloccarono di getto il passo, i piedi erano immobili e paralleli, come i volti. Iniziarono a girarsi lentamente, l’uno verso l’altro, sempre con il capo chino... ora però le punte delle loro scarpe si fissavano. Alzarono lo sguardo e i loro occhi tremarono, si guardarono così fissi, immobili, per qualche infinito secondo. Nessuno disse nulla. Nessuno aveva nulla da dire e anche se lo avessero avuto non lo avrebbero comunque detto. Potrebbe essere stato il freddo, o forse no, tuttavia, una lacrima precipitò lentamente sul viso di lei, appena riuscì a percepire il suo riflesso nello sguardo del compagno. Se ne accorse. Lui non disse nulla, ma abbassò lo sguardo, guardò per l’ultima volta i lacci ingarbugliati della ragazza, si girò, sempre con gli occhi chini e se ne andò. Lei rimase lì, ferma, con gli occhi offuscati dalle lacrime, pieni di un riflesso ormai lontano, che proseguiva con passo costante, senza voltarsi indietro, senza aspettare. Se non fosse iniziato a piovere, questa immagine sarebbe rimasta solamente della ragazza, ma ogni goccia che precipitava dal cielo, catturava negli occhi di lei la sua figura, i suoi passi e il suo addio, così, tutti, ormai, custodivano il suo tanto sconosciuto sguardo.

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