La Mia Settimana - Riccardo Mantovani

Ho letto da qualche parte che i maschi delle zanzare vivono circa una settimana. 

Iniziano a volare, in cerca di sangue. Lungo percorsi che mutano in base alle persone. Se non si attaccano a qualcuno, i sette giorni si riducono. Parassitari, vagano in cerca di elementi tranquilli; solari, troppo concentrati nel provare a condividere il calore che gli sfiora la pelle nuda. Brillante. Salata di lacrime evaporate. Asciugate. Rimaste in pendio ai limiti dello spazio percorribile: rugiada che piega fili d’erba. Squarci, che piegano corpi e animi. 

Le zanzare, però, non scorgono differenza tra brina sciolta e cristalli liquidi. L’acqua è acqua, e non è importante. Serve cibo, per tirare avanti una settimana: niente di più. Gli insetti, non hanno morale. Non esiste opportunismo e arroganza. L’egoismo è insito in essi, e non ne sono nemmeno consapevoli. Lo sfruttano, per continuare a volteggiare tra un corpo e l’altro. 

A volte non noto discrepanze tra microbi, e umani. Non la leggo neanche. In nessun libro, sito o sottotitolo di video. Anzi, il dizionario dei sinonimi e contrari non fa che ricordarmi quanto, in verità, siamo tutti zanzare. Che alla voce “insetti” compare: “parassita” e “persona spregevole”. 

Mi chiedo se questi provino il brivido del rischiare la vita. Se SENTANO  la morte. Lì, sulla tenda bianca, ch’è il panneggio fisico di Lei. Aggraziata, danzante alla leggerezza del vento, il quale, sospira, per la sua aura avvenente. 

Neanche la luminosità la risparmia, nel contorno cangiante. Candeggiante. 

Chissà se ha ansia, la mangiaufo striata; adagiatasi su quel terreno addolorato da punture passate. Ora che ci penso, però: gli insetti, soprattutto quelli parassitici, non hanno fremiti. Non hanno spasmi. Tremiti. Balbettii nel rendersi conto di star ferendo cicatrici. Ciò che li caratterizza, è l’enorme vuoto sensitivo, che li rende immuni, al disperarsi di qualcuno per causa loro. E in tutti i casi, fossero pure consapevoli o meno, non sarebbero comunque migliori: l’intenzione è quello che ci rende uomini; il pensiero. La razionalità. Quindi, l’istinto non giustifica le azioni. E i pentimenti non scusano le ferite inferte. I lividi tumefatti delle medaglie mnemoniche. Le urla. Le delusioni. I raggiri, e le promesse dimenticate. 

Sterile, infatti, s’appoggiò, col suo corpo traversato da cunicoli, iniziando a nutrirsi. Senza attenzione. Senza regole. È facile legittimarsi il possesso, e l’uso, di un'arma, se per primi vittime. È semplice velare i sensi di colpa se si ha sempre subito. Sanguinato fino ad aver bisogno di rubare, tale linfa. Perché, alla fine, è per questo che si muovono così: troppo piccole, le loro vene, per contenere sufficiente tessuto a dargli vita.

Le zanzare lo hanno fatto. Hanno sempre sopportato. L’isolamento, la repulsione, i commenti e gli atteggiamenti d’astio - spesso ingiustificati -. Però, è tanto per una schiena così minuta. Ecco perché una settimana: è più semplice lasciarsi schiacciare. Sfogarsi, e sparire. Del resto: la morte è una condanna solo per chi ha speranza.

Sarebbe sopravvissuta anche oltre il weekend; se non fosse per la voglia di stendersi. Per il manto veterano di baci traditori, che inviò un segnale conseguente poi, il buio. 

Per Lei, l’ospite quasi non soffrì. Il fastidio della puntura e il male dello schiaffo sarebbero poi passati; convinta d’essere solo un’altra dei tanti catini di sangue. Delle tante stazioni di servizio. 

Era giunta al settimo giorno, la zanzara. 

Fu più d’un corpo. Fu parte culminante di una redenzione, di un cambiamento. L’ottava mattina era vicina, ed era incuriosente. L’unica importanza nella futilità. Tuttavia, ella non lo può sapere: perché gli insetti non parlano. 


Forse davvero, non sono presenti che similitudini. Lasciti di un'evoluzione comune che ad una certa s’è spezzata in più rami. Ma noi abbiamo sviluppato sentimenti e riflessioni. Parole e dimostrazioni. D’affetto, d’amore; di rabbia e dubbio.

È vergognosamente facile permettersi una decadenza morale. Una devianza psicologica. Resistere, ci rende individui. Perché è fin troppo comodo arrendersi alla settima notte. 

Dove Venere illumina lo spicchio di tale “Luna”, indugiata, a farsi ammirare, altezzosa. 

Dove le sanguisughe angeliche si posano per l’ultima volta, tutte vicine, in attesa d’addormentarsi insieme. 

Dove le lucciole ancora volano. Le farfalle ancora nascono. I moscerini continuano il loro periodo rotatorio sotto il lampione. E dove, fintanto che i prati s’abbassano dal peso della brezza, e la sabbia si erge distante sovrana, un cellulare di musica fastidiosa rimane a far atmosfera, daccapo, emettendo note ripetitive e petulanti. Che splendore: la venticinquesima ora. Il nichilismo incondizionato, in cui corrono gli sbagli e le riflessioni.

L’afa mi scortica a suon di carezze lontane, di sudori freddi e respiri caldi. Tuoni di labbra sul collo. Strette di braccia deboli e rachitiche. Profumi diversi. Sguardi persi, contenti di quello che già vedono. A cui, però, si vorrebbe dare ancor di più; seppur non si possa. Ferisce, e spaventa.

Qui, penso a quanto vorrei ballare con la tenda; se solo non fossi una zanzara. 

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