Caro me - Riccardo Mantovani

Caro Me,

se potessi vedermi ora, sdraiato in coma sul divano, saresti fiero di me. Il problema è quanto io non lo sia di noi, e quando l’uomo si spezza, in una ragnatela di consigli che ci si vorrebbe dare, si sorride; ma l’intimità del gesto è trasmesso dalla delusione recondita. 

Quanto male ci siamo fatti ? Quanto sangue ha sporcato le nostre mani ? Lì rannicchiati nell’angolo, in un’agognata attesa l’alcol smettesse di stringerci. L’occhio nero, le costole doloranti, le nocche frantumate. Io lo so che nella tua incoscienza tossica, ti vergogni del melmoso disagio che andava soffocandoti. La tua stessa pelle avariata, che sentivi intrappolarti nella muffa, e nell’acre odore di piscio proveniente dai tuoi jeans strappati, sporchi di sangue e ghiaia. Era solo Lunedì, un Lunedì di Luglio. 

Ora non sei nelle condizioni di rispondermi. Stanco del lavoro, della frustrazione nell’avere la vista annebbiata dal pianto che non scende. Quando non ci molliamo, nessuno ascolta; che senso ha lo facciano sol per udire i singhiozzi, giusto ? Questo lucchetto, l’hai indossato per ricordarti, per non smettere di tentare. 

Tenta, caro Me, tenta. Il futuro te lo dico: rivela altre delusioni, ma pur sorprese. Grandi sorprese. È questo il suo scopo, no ? Caro Me, svegliati. Svegliati, destati: non chiudere gli occhi. 

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